In questa sezione sono raccolti alcune delle espressioni più tipiche della nostra città, soprattutto nei tempi passati, anche se ancora oggi qualcuna, a malapena, si riesce ancora a sentire.
Jamme alla Trecèlla (andiamo alla Torricella).
Scherzosamente rappresenta la banca dei venafrani
Mèglie a tiémpe a chi c'arriva (meglio a tempo per chi sarà ancora tra i viventi).
Esclamazione che esce dalla bocca dei venafrani alla fine di una festa patronale.
Fà come a Marzelle (fare come un antico venafrano chiamato Marzelle).
Questo caratteristico venafrano pare volesse mietere il grano d'inverno e raccogliere le olive d'estate, tanto per non soffrire troppo il caldo o il freddo.
Puònne vattià 'ne ciucce (possono battezzare un asino).
Quando si ritrovano assieme tre venafrani che hanno lo stesso nome di battesimo.
Mitt la scopa arrète alla porta (metti la scopa dietro la porta d'ingresso).
Consiglio che si dava a qualcuno che volesse tener lontane da casa le janàre (streghe). Pare che la janàra prima di entrare dovesse contare tutti i fili di saggina della scopa.
Sante Leriénze! (San Lorenzo).
Esclamazione propria dei venafrani allorché assaggiano, per la prima volta, una frutta o una pietanza.
Tè la lescèrtela a 'ddòie còre (ha la lucertola con due code).
Per indicare un tale che ha una fortuna sfacciata.
Sott'ai cuapannòne ri Veschevàte (sotto al capannone del Vescovado).
Scherzosamente si consiglia a chi non può trovare una casa di abitazione.
Ogge è sàbbete e passa fòre (oggi è sabato e vada fuori).
Così esclama il venafrano quando sente nominare la janàra (strega).
I Sangiuànne (i San Giovanni).
Così vengono chiamati i compari e le comari di battesimo.
La morta cazzuta (si suole indicare così la morte per annegamento).
'Mbrònte a chi nì sente (in fronte a chi non lo sente).
Esclamazione scherzosa che usano i venafrani allorché si sentono i primi rintocchi del campanone dell'Annunziata, che suona il mezzogiorno.
E' sunate le 'mmasciùte.
I venafrani usavano dirlo allorché la campana di una parrocchia del paese suonava per annunciare la morte di una persona.
Ciénte re 'ste juòrne (cento di questi giorni).
Tipica espressione che si usava (e si usa) per dare gli auguri in occasione dell'onomastico, del compleanno o di una ricorrenza festosa in genere.
Refrésca l'ànema ri muòrte (rinfrescare le anime dei defunti).
Un tempo si usava per ringraziare chi ci faceva del bene.
Sémme fatta la festa! (abbiamo fatto la festa).
Un venafrano che si recava a fare visita di condoglianze, ai familiari del defunto diceva questa caratteristica espressione.
Mìtte 'ne cippe rent'a 'ne pertuse (ficca un pezzetto di legno in un buco).
Escalamazione che sfuggiva di bocca ai venafrani, quando finalmente riuscivano a fare una cosa, dopo molti tentativi andati a vuoto.
Quande ne fà una 'bbòna, me faccie cecà tutte e ddòie gl'uòcchie (quando ne fai una buona mi lascio accecare a tutti e due gli occhi).
Espressione che rivolgiamo ad una persona che è solita non combinare mai una cosa per bene.
Culòre re cuane quande fòje (color di cane quando fugge).
Scherzosamente si dice di un colore che non esiste.
Culòre ombra re fuòsse (colore ombra di fosso).
Espressione simile alla precedente.
Pietanze venafrane caratteristiche
Baccalà alla mentanàra: baccalà lessato e preparato con abbondante olio, peperoncino e sale.
Patane alla mentanàra: patate lessate, pelate e tagliuzzate, preparate con abbondante olio, aglio e peperoncino.
Ranònghie a zeppetèlla: rane cucinate al sugo.
Ranònghie arracanàte: rane cucinate in una teglia, con pane grattuggiato, foglia di lauro e pepe.
Ranònghie 'nduràte e fritte: rane passate nella farina, nel tuorlo d'uovo e poi soffritte in padella.