Dalla tradizione trasmessaci da Servio, il più antico commentatore di Virgilio, la fondazione di Venafro viene attribuita a Diomede, mitico eroe argivo. Giunto sulle coste della Puglia, dopo la caduta di Troia e un lungo peregrinare, egli si inoltrò all'interno, fondando alcune città che popolò con i suoi compagni di viaggio. In realtà, più che di città potrebbe essersi trattato di sparsi insediamenti colonici, che nei secoli successivi diedero luogo al formarsi di vici, dai quali derivò una formazione urbana attribuibile ai Sanniti, che nel V secolo occuparono entrambe le sponde del medio ed alto Volturno.
Molto si è dissertato sul significato del nome Venafro, chiaramente di matrice osca (la lingua che i Sanniti assimilarono come propria), derivante dai due lemmi venus, con cui i sanniti indicavano la bellezza della natura, e frif, per denominare le messi. Da ciò si deduce che l'appellativo possa derivare dall'unione semantica delle due voci per indicare la feracità che, a popolazioni emigrate da una terra poco produttiva, dovette apparire tanto apprezzabile da costituire per loro l'espressione più idonea a denominare il luogo. Infatti sarà la fertilità del suolo a renderla rinomata in epoca romana.
Venafro passò sotto il controllo di Roma nel 290 a.C., dopo la battaglia di Aquilonia che diede un duro colpo alla potenza sannitica, ridimensionandone il territorio. Nel 272, presumibilmente dopo la sconfitta di Pirro, fu elevata a Municipio con la concessione della cittadinanza sine suffragio e quindi legata alla repubblica romana con vincoli giuridici che tuttavia ne conservavano l'autonomia, alla quale dovette rinunciare nel 263 con l'istituzione della Prefettura.
L'avvento dei Romani segnò l'inizio di una radicale trasformazione della sua economia agricola, come conseguenza della nuova distribuzione della proprietà terriera. I ruderi di antichi manufatti ancora affioranti fanno pensare non soltanto a ville patrizie ma anche ad aziende agricole, della cui conduzione troviamo un ricordo nel De Agricoltura di Catone.
Nel 59 a.C., quando Giulio Cesare distribuì in Campania i veterani delle sue legioni, a Venafro fu istituita la Colonia Julia, dove Augusto, nel 14 a.C., dedurrà nuovi contingenti di colonie, determinando un incremento della popolazione e l'inizio di uno sviluppo edilizio e monumentale. L'Acquedotto, le Terme, il Teatro, l'Anfiteatro, dei quali si hanno testimonianze archeologiche ed epigrafiche, sono realizzazioni del periodo imperiale, che si protrarrà fino all'età degli Antonini.
Venafro - Tracce dell'acquedotto romano |
La dissoluzione dell'impero d'Occidente segnò il declino anche di questa città, al cui storia si perde nel buio delle invasioni barbariche. Nel 477, quando Odoacre attraversò il Sannio e la Campania, il suo territorio era una landa desolata. Subì poi l'invasione ostrogota, al guerra gotico-bizantina e, infine, 595, l'occupazione longobarda.
Dopo le prime efferatezze, i Longobardi trovarono una pacifica convivenza con la popolazione indigena il cui territorio, in gran parte sottratto all'elemento locale, cadde in proprietà dei duchi beneventani i quali, però, non furono in grado di difenderlo dalle aggressioni dei Saraceni. Venafro, dopo un primo saccheggio subìto nell'867, fu vittima di successive incursioni arabe che lo costrinsero a fortificarsi sul colle S.Angelo, dove ora sorge il castello, abbandonando l'antico impianto romano che si estendeva ai piedi dell'attuale cattedrale.
Venafro - Teatro romano, parte della cavea all'epoca dello scavo (anni '70) |
Venafro - L'anfiteatro romano |
Una volta cacciati i Saraceni dall'Italia (battaglia del Garigliano del 914), Venafro si giovò della rinascita dei due grandi monasteri limitrofi di Montecassino e San Vincenzo al Volturno, i monaci dei quali, beneficiando delle donazioni di terre che ricevevano dalla nobiltà longobarda, le bonificarono e vi introdussero nuovi sistemi di conduzione vassallatica, mentre la città, elevata a contea, fu oggetto delle cure dei conti Pandolfo, Paldo, Audoaldo ed altri, tutti derivanti dalla dinastia principesca di Capua.
Con l'avvento dei Normanni e il contemporaneo esautoramento dei Longobardi, Venafro fu ridotta a sub-feudo dei conti di Molise e tale rimase anche sotto Federico II, fino alla caduta della monarchia sveva e alla venuta di Carlo I d'Angiò, il quale ricostituì la contea affidandola ad uomini di sua fiducia.
Nel 1437, con la conquista del Regno di Napoli da parte di Alfonso d'Aragona, Venafro fu assegnata a Francesco Pandone, la cui dinastia feudale si estinse nel 1528, con la condanna alla pena capitale, per tradimento, del conto Enrico e la città fu da Carlo V data a Filiberto Chalon, principe d'Orange. A questi succedette il cardinale Pompeo Colonna e poi il figlio Giovanni. Nel 1533 lo stesso Carlo V l'assegnava ai figli del vicerè di Napoli, Carlo Lannoy, che la tennero fino al 1582, quando Orazio la vendette al genovese Filippo Spinola, al cui possesso seguì un breve e difficile periodo di regime regio, che ebbe termine nel 1607 per acquisto del principe Michele Peretti di Roma. Il secolo XVI costituisce per Venafro un momento di crescita demografica con l'aumento della popolazione. Nel 1586 essa contava 842 fuochi che, a fronte dei 610 di Isernia e dei 376 di Boiano, ne facevano uno dei centri più popolosi dell'attuale Molise e con l'aumento della popolazione si ebbe un'espansione urbanistica che portò alla formazione del cosiddetto Borgo. Nello stesso secolo si assiste alla fioritura di una serie di uomini illustri quali Tommaso Rocca, lettore di Medicina Teorica nell'Università di Napoli, Battista della Valle, autore di un fortunato manuale di arte militare, Amico Santabarbara, colonnello di Malatesta Baglioni, Silvano da Venafro (Giovanni Bellini), autore di un commento alla Rime del Petrarca, Antonio Giordano, lettore nelle Università di Siena e di Napoli, Giovanni de Amicis, autore di un libro di Giurisprudenza ed il filosofo e psicologo metafisico Nicandro Iosso.
Le successioni feudali proseguirono con i Savelli nel 1658, Giambattista Spinelli nel 1698 e i de Capua nel 1798, ai quali seguirono i Caracciolo, che tennero la città fino al 1806, quando fu abolita la feudalità.
Sette secoli di soggezione feudale non potevano non influire negativamente, nonostante i frequenti episodi di intolleranza popolare tesi all'ottenimento di carte di libertà, sull'economia e sulla struttura sociale di una città condizionata anche dalle guerre che afflissero il Regno di Napoli, permanentemente soggetto alla dominazione straniera e alle successioni dinastiche che essa comportò.
Una situazione di rinascita si ebbe con la conquista del Regno, nel 1734, da parte di Carlo III di Borbone, non soltanto per i condizionamenti che il suo governo esercitò sulla nobiltà e sul clero, ma per aver stabilito a Venafro una residenza reale per i periodi in cui veniva a caccia nella tenuta di Torcino, migliorando i collegamenti stradali con la capitale e l'edilizia urbanistica.
Durante una breve parentesi della Repubblica Partenopea del 1799 e il decennio dei due re napoleoinidi (1806-1815), a Venafro si andò formando una borghesia illuminata che trovò spazio e respiro con il riformismo di Ferdinando II, assumendo l'amministrazione della città e consolidandosi negli anni che seguirono alla detronizzazione dei Borboni, con la costituzione dell'Unità d'Italia.
Con l'avvento dei Normanni e il contemporaneo esautoramento dei Longobardi, Venafro fu ridotta a sub-feudo dei conti di Molise e tale rimase anche sotto Federico II, fino alla caduta della monarchia sveva e alla venuta di Carlo I d'Angiò, il quale ricostituì la contea affidandola ad uomini di sua fiducia.
Nel 1437, con la conquista del Regno di Napoli da parte di Alfonso d'Aragona, Venafro fu assegnata a Francesco Pandone, la cui dinastia feudale si estinse nel 1528, con la condanna alla pena capitale, per tradimento, del conto Enrico e la città fu da Carlo V data a Filiberto Chalon, principe d'Orange. A questi succedette il cardinale Pompeo Colonna e poi il figlio Giovanni. Nel 1533 lo stesso Carlo V l'assegnava ai figli del vicerè di Napoli, Carlo Lannoy, che la tennero fino al 1582, quando Orazio la vendette al genovese Filippo Spinola, al cui possesso seguì un breve e difficile periodo di regime regio, che ebbe termine nel 1607 per acquisto del principe Michele Peretti di Roma. Il secolo XVI costituisce per Venafro un momento di crescita demografica con l'aumento della popolazione. Nel 1586 essa contava 842 fuochi che, a fronte dei 610 di Isernia e dei 376 di Boiano, ne facevano uno dei centri più popolosi dell'attuale Molise e con l'aumento della popolazione si ebbe un'espansione urbanistica che portò alla formazione del cosiddetto Borgo. Nello stesso secolo si assiste alla fioritura di una serie di uomini illustri quali Tommaso Rocca, lettore di Medicina Teorica nell'Università di Napoli, Battista della Valle, autore di un fortunato manuale di arte militare, Amico Santabarbara, colonnello di Malatesta Baglioni, Silvano da Venafro (Giovanni Bellini), autore di un commento alla Rime del Petrarca, Antonio Giordano, lettore nelle Università di Siena e di Napoli, Giovanni de Amicis, autore di un libro di Giurisprudenza ed il filosofo e psicologo metafisico Nicandro Iosso.
Le successioni feudali proseguirono con i Savelli nel 1658, Giambattista Spinelli nel 1698 e i de Capua nel 1798, ai quali seguirono i Caracciolo, che tennero la città fino al 1806, quando fu abolita la feudalità.
Sette secoli di soggezione feudale non potevano non influire negativamente, nonostante i frequenti episodi di intolleranza popolare tesi all'ottenimento di carte di libertà, sull'economia e sulla struttura sociale di una città condizionata anche dalle guerre che afflissero il Regno di Napoli, permanentemente soggetto alla dominazione straniera e alle successioni dinastiche che essa comportò.
Una situazione di rinascita si ebbe con la conquista del Regno, nel 1734, da parte di Carlo III di Borbone, non soltanto per i condizionamenti che il suo governo esercitò sulla nobiltà e sul clero, ma per aver stabilito a Venafro una residenza reale per i periodi in cui veniva a caccia nella tenuta di Torcino, migliorando i collegamenti stradali con la capitale e l'edilizia urbanistica.
Durante una breve parentesi della Repubblica Partenopea del 1799 e il decennio dei due re napoleoinidi (1806-1815), a Venafro si andò formando una borghesia illuminata che trovò spazio e respiro con il riformismo di Ferdinando II, assumendo l'amministrazione della città e consolidandosi negli anni che seguirono alla detronizzazione dei Borboni, con la costituzione dell'Unità d'Italia.
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